Statira, Venezia, Rossetti, 1742

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Stanze di Statira. Notte.
 
 STATIRA, ORONTE e TIMAGENE
 
 STATIRA
 Timagene, all’ingresso
 vanne di queste stanze e attento osserva
 s’altri qui volge i passi e me lo avisa.
 TIMAGENE
 Il cenno ubbidirò. (Si ritira)
 STATIRA
                                     German, t’inganni; (Ad Oronte)
460non è tradito l’amor tuo. La fede
 cauta Aspasia ti serba.
 ORONTE
                                            Ah vidi io stesso
 i vezzi onde lusinga
 Artaserse l’infida.
 STATIRA
 Ella finge così, perché si sciolga
465il nodo che di Dario agl’imenei
 Artaserse tessea.
 Anzi va grido in corte, ed oggi ei nacque,
 che mal soffrendo il suo geloso amore
 moglie vederla in fra le braccia al figlio,
470di farla sagra a Febo
 l’affascinato re prenda consiglio.
 ORONTE
 Respira il cor...
 TIMAGENE
                               Regina, a queste soglie
 viene Ariarate.
 STATIRA
                               O cieli! Ivi ti cela (Ad Oronte)
 signor, finché dal principe raccolga
475la cagion che lo guida
 inaspettato alle mie stanze. Vanne,
 renditi Timagene
 al primo ufficio.
 TIMAGENE
                                 Ad esequir son pronto. (Si ritira come sopra)
 ORONTE
 Con men di pena al core
480vado a celarmi or che mi rendi certo
 della fé del mio bene; al rio destino
 ogni ingiuria perdono,
 se la fiamma d’Aspasia ancor io sono.
 
    Se certo esser poss’io
485che m’ami l’idol mio,
 lo stesso rio dolor
 si fa contento.
 
    La fiera gelosia,
 la cruda pena ria
490più non mi rode il cor,
 più non pavento. (Si ritira per una porta nel gabinetto)
 
 SCENA II
 
 STATIRA, poi ARIARATE, ORONTE nascosto nel gabinetto, poi TIMAGENE che ritorna
 
 STATIRA
 Affetti, vi sovenga
 nel cimento imminente
 d’esser reali.
 ARIARATE
                           Eccelsa donna, io reco
495al tuo piede una fronte,
 su cui tu cancellasti
 la nota infame, in essa
 da due crudeli tradimenti impressa.
 STATIRA
 Nel gran cimento io dissi
500ciò che doveasi al vero.
 Il cielo mi destina
 vostra nemica sì ma son regina.
 TIMAGENE
 Dario qui volge, alta regina, i passi. (Poi parte)
 STATIRA
 Ahimè!
 ARIARATE
                  Qui Dario?
 STATIRA
                                         In quella
505segreta stanza, Ariarate, ascondi
 dal protervo german il tuo sembiante.
 ARIARATE
 Ahi con troppo dolor del core amante! (Entra per un’altra porta che guida in altre stanze)
 
 SCENA III
 
 STATIRA, poi DARIO; ORONTE nascosto per una porta, ARIARATE per l’altra
 
 STATIRA
 Che mai vorrà l’audace?
 Qual disegno lo guida
510alle mie regie stanze? Anima infida!
 DARIO
 Non son sempre felici
 le imposture, o Statira; e l’odio cieco
 un fallace sentier calca sovente.
 Errasti il colpo e l’infelice frode
515abortì senza frutto e senza lode.
 STATIRA
 Come! Tant’oltre ardisci?
 Eh barbaro, rispetta
 il mio sesso, il mio sangue ed il mio grado.
 Che fa su quella fronte
520l’infedel diadema?
 S’egli non sa dettarti
 sensi di lui più degni
 perché avvilirlo più non ardisca,
 un fulmine del ciel lo incenerisca.
 DARIO
525Egli mi sieda in fronte
 con tutto il suo splendor; e venga il giorno
 che col sangue e col pianto
 una donna superba
 al monarca di Persia il trono irrighe
530e in Ariarate un traditor castighi.
 
 SCENA IV
 
 ARIARATE ch’esce furioso dalla porta ove entrò e detti
 
 ARIARATE
 Mente chi ad Ariarate
 di traditor il nome imporre ardisce;
 e se un silenzio...
 DARIO
                                  Ariarate in queste
 segrete stanze? Ed in quest’ora oscura?
535Non arrossir, Statira.
 STATIRA
 Fellon, in me riguarda
 di Ciro, estinto sì ma vive ancora
 nel reale mio cor, la moglie illustre,
 la germana d’Oronte.
 DARIO
540Di quell’Oronte di’ che una vil fuga
 tolse da’ nostri sdegni.
 STATIRA
 Tanto non oseresti,
 se di cotesto fugitivo il volto
 avesti a fronte.
 DARIO
                              Venga
545questo invincibile re, ma non munito
 delle squadre rubelli.
 Solo egli venga e rechi
 in privato cimento all’ira mia
 il superbo suo capo ed esecrando.
 
 SCENA V
 
 ORONTE che esce dal gabinetto, sfoderando la spada e detti
 
 ORONTE
550Ecco Oronte; ecco il campo; ed ecco il brando.
 DARIO
 Tu Oronte.
 ARIARATE
                       Oh dei! Che sento!
 STATIRA
                                                           Ahimè che fia!
 ORONTE
 Sì, quell’Oronte io son che una vil fuga
 tolse da’ vostri sdegni.
 DARIO
                                           Oronte dunque
 porta sin nella regia
555della Persia allo sdegno il suo olocausto?
 ORONTE
 Ma per trarlo all’altar della vendetta
 non avrà Dario un braccio.
 DARIO
                                                   Ed Ariarate
 sempre rubello al suo signor e padre,
 del reo congresso è a parte?
 ARIARATE
560Né Oronte io vidi mai né di Statira
 nelle stanze io ’l sapea né in Artassata.
 STATIRA
 Ah german, deh t’invola
 al periglio imminente.
 ORONTE
 Dario, poiché il tuo ferro
565neghittoso ti pende ancor dal fianco,
 a miglior uso il serba...
 Al mio campo io ritorno,
 colà fra le mie schiere o in vuota arena
 mi pagherai del folle ardir la penna.
 DARIO
570No, traditor, non fugirai. (Vuol seguirlo)
 STATIRA
                                                 T’arresta,
 o per questo mio sen passi quel ferro.
 DARIO
 Nieghi il passo al tuo re, barbara donna? (Vuol ritirarla per forza dalla porta per seguire Oronte)
 ARIARATE
 Devesi più rispetto a una regina.
 Fui sinora innocente;
575se il difenderla è colpa, ora son reo. (Per difesa di Statira snuda il ferro contro Dario)
 DARIO
 Fellon! Contro il tuo re! Niega, se puoi
 il sacrilego ardir! Paventa indegno
 il mio volto, il mio scettro.
 STATIRA
                                                  Eh no, Ariarate,
 non paventar d’un empio
580l’effimero poter. Credi che il cielo
 non soffre lungamente
 impunito un ribaldo. Anima indegna (A Dario)
 i fulmini di Giove
 pendono sul tuo capo. Il mondo aspetta
585contro te scelerato una vendetta.
 
    Non paventar quell’empio; (Ad Ariarate)
 non disperare (oh dio!
 Quasi dicea: «Cor mio!»)
 Perfido senza esempio, (A Dario)
590barbaro senza fé.
 
    Povero figlio odiato (Ad Ariarate)
 so che innocente sei.
 (Dirti di più vorrei
 ma...) Quel tuo ciglio irato (A Dario che la mira)
595più non fissare in me.
 
 SCENA VI
 
 DARIO ed ARIARATE
 
 DARIO
 Anima vile, il frutto
 mira di tua virtù; ma che virtude?
 Nieghi d’unirti meco
 all’impresa fatal, per esequirla
600colla sola tua destra. Il sagrificio
 ti richiese Statira e tu il giurasti.
 Tutto so, tutto intesi; me pur vorresti
 vittima d’una donna all’empio sdegno.
 ARIARATE
 Non conosci il mio cor...
 DARIO
                                              T’accheta, indegno. (Parte)
 ARIARATE
605Ma sin a quando, o numi,
 l’onte d’un labro irato
 tolerar io dovrò? La mia innocenza
 quando al mondo fia nota? Ah sì, cotesta
 nube infedel, che il bel candor ne oscura,
610svanirà, perirà; lo spero; i dei
 questi disastri miei toleran forse,
 perché di cruda sorte
 apprenda i danni a tolerar più forte.
 
    Sol fra scogli e fra tempeste
615merto acquista un buon nocchiero,
 fra cimenti eroe guerriero
 va la gloria a rintracciar.
 
    Anche l’oro tra le fiamme
 divien puro e più s’affina;
620ed al premio s’avvicina
 chi fatica a meritar.
 
 SCENA VII
 
 Bagni reali.
 
 ARTASERSE ed ASPASIA, poi DARIO
 
 ARTASERSE
 Degno d’un cuor reale
 è l’atto grande, o bell’Aspasia; io sveno
 una speranza in me, perché svenata
625in sé con minor pena
 Dario la senta; quindi a Febo io cedo
 ciò che tolgo al mio cor; egli è ben vero
 che qualor nel tuo volto
 fisso gli sguardi, io gelo e di repente
630ne sospira il mio core e si risente.
 ASPASIA
 Eh no, signor, questi sospiri ormai
 di sì bella virtù non son più degni.
 DARIO
 Signor, in Artassata e nelle stanze
 della superba vedova di Ciro,
635nel mentito Artabano
 Oronte io vidi.
 ARTASERSE
                              Oronte?
 ASPASIA
                                                Ahimè che sento! (A parte)
 DARIO
 Tratto dal suo furor, osò egli stesso
 scoprirsi e baldanzoso
 col ferro in pugno ardì...
 ARTASERSE
                                               Che?
 DARIO
                                                           Minacciarmi.
 ARTASERSE
640E del barbaro in petto
 de’ tuoi servi le spade
 non puniro il delitto?
 DARIO
 Solo nell’empia stanza
 er’io, che dissi solo?
645V’era ben anche un traditor che puote,
 opponendo al mio sen l’indegno acciaro,
 al mio nemico assicurar lo scampo.
 ASPASIA
 Oh dei! Respiro. (A parte)
 ARTASERSE
                                  Cada
 sul vassallo fellon la mia vendetta.
650Chi fu?
 DARIO
                 Inorridisca,
 signor, il tuo gran cor all’empio nome.
 ARTASERSE
 Dillo.
 DARIO
              Geli il tuo sangue entro alle vene
 dal perfido misfatto profanate.
 Ei fu...
 ARTASERSE
                Che più ti tarda?
 DARIO
                                                 Ei fu Ariarate.
 ARTASERSE
655Ariarate?
 DARIO
                     Non più; già sento
 dell’offesa natura
 l’orror in petto; e della mia grandezza
 tutto sento il furor che il cor m’ingombra.
 D’Oronte si ricerchi.
 DARIO
                                        Io già ne diedi
660rigoroso il comando.
 ASPASIA
                                        Ah il custodite
 pietosi cieli! (A parte)
 ARTASERSE
                           Cada
 svenato Ariarate a’ piè del trono;
 s’egli figlio non è, padre io non sono.
 
 SCENA VIII
 
 ASPASIA e DARIO
 
 DARIO
 Se non toglie la fuga al nostro sdegno
665l’arabo audace, oh quale
 opportuno olocausto
 svenar dovrà la gran ministra a Febo!
 ASPASIA
 Che di barbaro mai, che mai d’atroce
 al mio novello grado
670minacci tu, signor?
 DARIO
                                      L’orribil voto
 d’Artaserse non sai?
 ASPASIA
                                        No.
 DARIO
                                                  Se d’Oronte,
 o vinto o prigioniero,
 tra le nostre catene il piè sia cinto,
 trarlo ei giurò del maggior nume all’ara,
675perché da sagra femina svenato
 del suo furor il sagrificio adempia.
 ASPASIA
 Dunque d’umano sangue
 al pacifico Apollo
 si aspergeranno i laureati altari?
 DARIO
680Ma questo è il men. Tu stessa
 al collo del tuo sposo
 il colpo vibrerai.
 ASPASIA
                                 Prima la destra
 stenderò tra le fiamme.
 DARIO
 Sol che tu voglia, o bella,
685Oronte puoi salvar.
 ASPASIA
                                      Come?
 DARIO
                                                      Pietosa
 se ti mostri al mio amor.
 ASPASIA
                                                Vana richiesta.
 Sai che al nume ora servo.
 DARIO
                                                  Io non pretendo
 affetti ingiuriosi
 al tuo grado, al tuo core; a me sol basta
690la tua pietà. De’ soli
 sguardi, de’ soli vezzi io mi contento
 né cerca altro ristoro il mio tormento.
 ASPASIA
 Per difesa d’Oronte
 ciò che lice si tenti. (A parte)
 DARIO
                                       Ah tu sei meco
695troppo rigida, oh dei! troppo severa.
 ASPASIA
 (Lusingarlo mi giovi); amami e spera.
 DARIO
 
    T’amo, bell’idol mio;
 non mi negar pietà.
 
 ASPASIA
 
    Amami; non son io
700vaga di crudeltà.
 
 DARIO
 
    Donami un guardo almeno.
 
 ASPASIA
 
 Sì ma ti basti un sguardo.
 
 A DUE
 
 Ah che già peno ed ardo,
 non ha più pace il cor.
 
 DARIO
 
705   Tutti gli affetti miei (Da sé)
 tendon d’Aspasia al core.
 
 ASPASIA
 
 Dario, tu quel non sei (Da sé)
 per cui m’accende amore.
 
 A DUE
 
 Secondi il ciel clemente
710il mio cocente ardor.
 
 SCENA IX
 
 Tempio del Sole in mezzo al quale il simulacro del medemo nume con lauri d’oro e faci.
 
 ORONTE in abito mentito e TIMAGENE
 
 TIMAGENE
 De’ nemici regnanti
 non paventi il furor? Quivi t’esponi,
 dove Dario e Artaserse
 a momenti verran?
 ORONTE
                                      Le rozze lane
715onde avvilisco il fianco
 dagli sguardi nemici
 m’asconderan. Voglio veder Aspasia
 a costo di morir.
 TIMAGENE
                                 Vedi la turba
 che i monarchi precede.
 ORONTE
                                               Io fra le guardie
720mi celerò.
 TIMAGENE
                      Non trarrò lunge il piede
 dal fianco tuo, che così vuol mia fede.
 
 SCENA X
 
 ARTASERSE, DARIO, ORONTE in disparte; soldati e popolo, poi ASPASIA
 
 ARTASERSE
 Nume de’ Persi, eterna
 fonte di luce, il di cui raggio avviva
 ciò ch’ha di chiaro il ciel, di vago il mondo,
725delle palme, che il tuo propizio nume
 più che il nostro valor mi trasse al piede,
 tutta la gloria al gran delubro io reco.
 Perché da più innocente
 destra cadan le vittime svenate
730a’ piè dell’immortal tuo simulacro,
 una vergine illustre io ti consacro.
 Venga Aspasia.
 ORONTE
                               La sposa
 vuolsi a forza rapirmi?
 Nol soffrirò. (A Timagene piano)
 TIMAGENE
                          Raffrena
735l’impeto del furor. (Piano)
 ORONTE
                                     No; vuo’ un esempio
 lasciar del mio coraggio. Attendi.
 ASPASIA
                                                              Al cenno
 pronta, sire, mi scorgi.
 ARTASERSE
                                            All’ara inanzi
 conducetela voi ministri eletti.
 Nuova lode al gran nume indi s’intuoni,
740onde il tempio giulivo al ciel risuoni.
 CORO
 
    Sommo signor di Delo
 d’ogni poter fecondo,
 luce immortal del cielo,
 foco vital del mondo,
745viva la tua potenza,
 viva la tua beltà.
 
 SEMICORO
 
    Scaldi e fecondi il tutto,
 l’arida terra il frutto
 senza di te non dà.
 
 CORO
 
750   Viva la tua potenza,
 viva la tua beltà. (Mentre si canta il coro, i due re siedono nel luogo loro destinato e Aspasia vien condotta avanti il nume per essere incoronata d’alloro)
 
 ARTASERSE
 Olà le sacre fronde
 cingan le tempia alla donzella eletta;
 alla fiamma dopoi la mano stenda,
755onde al nume così sacra si renda.
 ASPASIA
 Queste fiamme, signor...
 ORONTE
                                                Fermati. (Impedisce che Aspasia s’avanzi)
 ASPASIA
                                                                   Oh numi!
 ORONTE
 Artaserse, non lice
 togliere ad uno sposo
 per donarla agli dei la fida sposa.
760Sacrilego sarebbe
 d’Aspasia il rito ed il tuo cor rubello.
 Vive ancora il suo Oronte ed io son quello.
 ARTASERSE
 Temerario!
 DARIO
                        S’arresti.
 ORONTE
                                           Olà. Siam noi
 nel gran tempio di Febo; ei mi difende;
765mi difendon le leggi
 vostre stesse, o Persiani, a me son note.
 Violarle chi pretende
 la patria, il cielo e la ragione offende.
 ASPASIA
 Stelle! Che sarà mai?
 
 SCENA XI
 
 STATIRA e detti
 
 STATIRA
                                          Due re crudeli
770non conoscon ragion; la patria, il cielo
 amano calpestar; su via, Artaserse,
 un nemico trafiggi; il sacro tempio
 nol difenda da te. Dario, su via,
 rendi Oronte infelice;
775a due barbari re già tutto lice.
 ARTASERSE
 No, perfida, no, ingrata, io non calpesto
 le sacre leggi e non profano i dei. (Scende dal trono)
 DARIO
 Ah signor, donde credi
 che proceda l’ardir de’ scelerati?
780Ariarate il fomenta. Egli è il maggiore
 de’ traditori tuoi.
 STATIRA
                                   Menti; Ariarate
 no, non è traditor.
 ARTASERSE
                                    Barbara donna,
 dimmi, nelle tue stanze
 il tuo Oronte non fu?
 STATIRA
785Vi fu.
 ARTASERSE
              Fu seco Ariarate?
 STATIRA
                                                È vero.
 ARTASERSE
 Non impugnò Ariarate
 contro Dario l’acciar?
 STATIRA
                                          Egli difese
 l’immunità del mio real soggiorno.
 ARTASERSE
 E non è traditor? Ah scelerata
790tu le furie destasti
 nel cor d’Ariarate. Egli ti piacque
 empio, fellon e parricida, or vanne;
 qual ti piacque l’hai già. Piacciati ancora
 qual mel chiedesti; egli quel sangue sparga
795ch’ebbe dalle mie vene.
 Disarmato s’esponga
 al più fiero leon ch’Asia spaventi.
 Tale il vegga Statira e tal le piaccia;
 né più il dolor che i sensi tuoi governa
800il figlio d’Artaserse in lui discerna.
 
    Perfido mostro
 di crudeltà
 tu l’hai sedotto,
 sì perirà.
 
805   Anime ingrate,
 no, non sperate
 da me pietà.
 
    Vuo’ vendicarmi
 d’un empio cor.
810No, non son padre
 d’un traditor.
 
    Il giusto scempio
 altrui d’esempio
 servir potrà.
 
 SCENA XII
 
 STATIRA, DARIO, ASPASIA, ORONTE
 
 ORONTE
815Perdonami, idol mio...
 ASPASIA
                                            Deh che facesti?
 ORONTE
 Il mio amor non soffria...
 DARIO
                                                Ministri, in parte
 sia scortato costui del sacro tempio,
 sicché del nume il simulacro puro
 co’ sguardi scelerati ei non profani.
 ORONTE
820Di te più scelerato
 il nume non vedrà. Del tuo nel tempio
 core non v’è più contumace ed empio. (Parte colli ministri)
 STATIRA
 Fremi, Dario, veggendo
 illeso dal tuo sdegno
825un nemico che temi.
 DARIO
                                        In lui riguardo
 il bel core d’Aspasia. Io so che l’ama
 questa ch’è l’idol mio. Ma di tal tempra
 è l’amor che m’accende
 che in mio danno piacerle anco pretende.
830Sì, bellissima Aspasia, in me ritrovi
 d’Oronte il difensor. Ma non negarmi
 la pietà che promessa oggi tu m’hai.
 Non negarm’il favor de’ tuoi bei rai.
 
    Se per te placo il mio sdegno,
835se disarmo il mio furore,
 di mercé non son indegno,
 merto ben la tua pietà.
 
    Sai qual fiamma io chiudo in petto,
 a te noto è il mio dolore;
840non gradir sì puro affetto
 saria troppa crudeltà.
 
 SCENA XIII
 
 STATIRA, ASPASIA
 
 ASPASIA
 Statira, per pietà deh mi consiglia,
 deh conforta il mio duolo.
 STATIRA
                                                 Ho di bisogno
 di conforto e consiglio,
845Aspasia, più di te. Vanne e mi lascia
 sola co’ miei pensieri.
 ASPASIA
                                           In tanti affanni
 è prodigio s’io vivo, astri tiranni. (Parte)
 STATIRA
 Ariarate morrà? Mio cor, tu il senti
 e mi palpiti in sen con tanta pena?
850D’Artaserse egli è figlio;
 mora. Ma questa voce
 a dispetto del cor m’esce dal labro.
 Vendetta, ombra di Ciro
 d’un colpevole amor. Già tu mi detti
855un illustre pensiero
 degno del tuo dispetto e degno ancora
 di quello stesso amor che tu detesti.
 Quest’amor ch’è mia colpa
 sia mio castigo e l’alma fiera ed empia
860colla mia morte il mio supplizio adempia.
 
    Veggo l’ombra di Ciro tradito
 che m’ingombra d’orrore e spavento,
 alma cara, ti scorgo, ti sento,
 mi vuoi teco? M’attendi, verrò.
 
865   Tu, diletta mia fiamma novella,
 questo accetta tributo d’amore;
 se non lice donarti il mio core
 per te dunque fedele morrò.
 
 Fine dell’atto secondo